Il risveglio della disconnessione

  • Dalla rubrica FRA(m)MENTI di EOS (Centro EOS per il Benessere Psichico).
  • Illustrazione della Dr.ssa Susanna Toppino.
  • Commento di Denise Sarrecchia.

Commento

Non esiste trasformazione senza fatica. Sappiamo di dover bruciare fino in fondo, e poi sederci sulle ceneri di colei che un tempo pensavamo di essere e ricominciare da lì.

Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi

Sogniamo continuamente di poterci fermare e assaporare il gusto della lentezza, ma non ci siamo più abituati. È più facile bramarla che viverla, perché “lentezza” vuol dire spegnere i motori di tutte le macchine che scandiscono la nostra routine e che con il loro rumore offuscano la nostra  voce interiore, relegandola al “momento ideale” in cui avremo tempo di ascoltarla. Ma quel momento non arriva quasi mai, perché c’è sempre qualcosa di più urgente da risolvere, di più importante da (in)seguire. Come se dedicare il tempo per ascoltarci, per raccogliere i pezzi andati in frantumo lungo la strada e riappropriarsi delle energie disperse fosse tempo in qualche modo sprecato o rimandabile all’infinito. Eppure, sappiamo bene che esiste un tempo per tutto, come per seminare, anche per fermarsi, anche se non siamo così bravi a farlo, perché è più facile sopportare il brusìo indistinto intorno a noi che la voce del silenzio dentro di noi, dove tutto ha un’eco distinta e rarefatta.

Come spesso accade, nel mondo animale abbiamo un grande esempio: il letargo, scientificamente definito «una risposta dell’animale a condizioni “ostili”». Quando gli animali vanno in letargo rallentano le loro funzioni vitali, vedono il loro corpo raffreddarsi, i battiti del cuore si fanno più lenti e perdono la necessità di nutrirsi, per poi cadere in un sonno più o meno profondo. Certo, non ci sarebbe possibile, biologicamente e socialmente, prenderci le stesse libertà per un periodo di tempo troppo esteso, ma ogni essere vivente dovrebbe concedersi il diritto morale di viversi il proprio letargo, anche approfittando di festività o pause estive o, perché no, parentesi temporali che scegliamo di ritagliarci durante l’anno.

La società si aspetta costantemente da noi l’essere proattivi e iperproduttivi, intervallando  qualche “spot” sull’importanza della gentilezza e dell’inclusione, ma per dare stabilità alla nostra efficienza e concretezza all’idea, per ora ancora fragile, di inclusione, l’unica via percorribile, paradossalmente, è un senso unico: fermarsi e riappropriarsi delle energie perdute.

A qualunque punto della nostra vita siamo arrivati, qualunque sia il nostro bagaglio, il tempo del proprio letargo apre silenziosamente la strada al nostro risveglio, anche se non siamo ancora in grado di vederla, anche se siamo costretti a vagare nell’oscurità. Ciò che conta è tenere con noi una riserva sufficiente di speranza e di fiducia in noi stessi e in ciò che può fiorire dentro di noi, perché come scrisse Tolkien, “non tutti quelli che vagano sono perduti” e perché anche se il nostro cuore batte più lentamente, non dobbiamo dimenticare che ogni rintocco scandisce il suono del nostro nuovo inizio.

Denise Sarrecchia

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